Il Ducato dei Vini Friulani

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20 Novembre 2020

Ricordo di Piero Villotta
Fabrizio Tomada conte della contea di Roma del Ducato dei Vini Friulani

L’ultima volta che ho visto l’amico Piero Villotta era una tiepida serata romana, mitigata dal grande sole di luglio. Lo incontrai in un affollato bar nel cuore della città. In quel lieto rumoreggiare ci balenarono, un po’ sfumati dal tempo, tanti nostri ricordi. Mentre camminavamo nei magici vicoli di Roma, Piero, avvolto dall’eccentrica aura del suo colorato farfallino, s’illuminava discutendo sulle qualità di questa o di quella cantina. Questa è l’immagine più recente che ho di lui; un uomo pieno di vita che si dileguò lentamente in quella mite atmosfera notturna, in uno scenario pieno di storia e di monumentali bellezze. Ma sono state molte, direi innumerevoli, le agapi organizzate dalla Contea romana che lo hanno veduto verseggiare insuperabili panegirici nei gotici panni da reggente del Ducato dei vini Friulani. Tornano alla memoria convivi tenuti a Orvieto, al Museo delle arti e tradizioni popolari all’Eur, nelle sale dei Circoli regionali in via Aldrovandi e nella storica vineria del caro e compianto amico Marco Trimani, dove istituì una delegazione permanente del Ducato.
Nostalgie lontane e vicine riaffiorano in questo ricordare; soprattutto il magnifico pellegrinaggio enoico che facemmo nella verdeggiante Toscana che fu anche occasione per visitare rinascimentali centri d’arte.
 
Era l’inizio dell’estate 2011 quando il Duca Piero I° (Villotta), Adriano Degano, indimenticabile presidente del Fogolâr di Roma, e io, conte della Contea del Ducato dei Vini Friulani della Capitale, prendemmo l’impegno di incontrarci, di lì a qualche giorno, a Montalcino nella Tenuta Carlina dell’amico friulano Danilo Tonon. Si trattava di trascorrere alcune ore di mezza estate fra vecchi e leali amici – Piero è stato per me un amico fino all’ultimo guida leale nella mia conduzione della Contea – all’insegna del territorio e di uno dei vini simbolo del Belpaese, il Brunello proclamato solennemente patrimonio dell’umanità.
E così fu che il gruppo di Roma, Nobili della Contea Romana del Ducato dei vini friulani e soci del Fogolâr, insomma un folto gruppo di friulani, partì al mattino presto da Roma alla volta di Montalcino. Nel contempo l’autorevole delegazione del Ducato dei Vini friulani guidata dal Duca Piero I° accompagnato da araldi e cerimonieri, si muoveva quasi alla stessa ora dal Friuli in direzione della Toscana.
Arrivammo, noi da Roma, per primi e iniziammo a visitare alcuni locali della cantina accompagnati da Danilo e da Janneth che ci avevano accolti con grande affetto. Nel frattempo sopraggiungeva l’autorevole rappresentanza della Corte nobiliare del Ducato con alla guida il Duca Piero I° che, presa subito in mano la situazione con piglio dolce ma fermo, radunò immediatamente i “villeggianti”. Per Piero, per il Duca, a suo dire, non erano in villeggiatura i furlans venuti dalla Capitale. Lui aveva voluto il raduno di quei Nobili friulani lì in terra Toscana quasi dentro un vigneto, per creare un momento di riflessione sul tema del vino, sui valori del Ducato, per come interpretarli nel significato che andava dato all’assunzione del vino e su come andavano diffuse queste sue idee.
Così il Duca Piero I°, indossati quegli abiti medioevali i cui colori, il verde e il rosso intarsiato di fili d’oro richiamavano le insegne della Corte Ducale, dopo che i cerimonieri del sodalizio avevano dispiegato il “Nobile Gonfalone” introdusse la cerimonia di intronizzazione dei padroni di casa nominati “Nobili” del vino, lasciando i due più che ammirati. Ma ciò che colpì noi tutti che ci lasciò ancor più ammirati fu quello che il Duca, disse nel suo discorso. Elegantemente e sottilmente, rivelando una capacità di insegnamento che gli era consona – aveva fatto il bancario ma poi era diventato giornalista presiedendo l’Ordine regionale – illustrò la sua ferma e decisa visione sull’assunzione del vino non relegandola a una mera consuetudine, considerando riduttivo il rito del tajut, il bicchier di vino bevuto in osteria, come un gesto fine a se stesso, ma attribuendo a quel momento una espressione di “consapevolezza” una eredità da preservare e tramandare ai giovani per il suo significato.
“Non più bevanda -tuonò – messa in cattiva luce da attacchi della stampa, dei media in generale, ma il vino inteso come alimento, il vino come componente imprescindibile della sua zona di origine, dell’area di produzione che ne esalta le caratteristiche. Bevanda antica ricca di storia, densa di cultura. Promotore naturale del territorio delle tradizioni dei luoghi dove viene coltivato e prodotto.”
Idee destinate a creare una certa differente visione nell’assumere il vino, “nettare degli dei” come lo chiamavano gli antichi, ma destinate ad avere un seguito. Chi ha conosciuto Piero – e io ho avuto questa opportunità – ne ricorda la pazienza e la tenacia sempre “gentile” ma determinata, “nobile”, nei modi che aveva nel perseguire le proprie idee sì da portarle sempre e comunque a compimento. E anche quella volta, in un giorno di mezza estate da là, dalla Togata, fece partire quella sua idea, che poi divenne concreta, di avviare una “campagna di responsabilizzazione” perfezionata e realizzata nei mesi a seguire dal Ducato, che da lì a qualche mese fece avviare i “corsi di educazione al bere consapevole”, attraverso una serie di convegni, incontri, seminari destinati soprattutto ai giovani in modo che gli stessi imparassero ad avvicinarsi a quello che nel mondo della “nobiltà ducale” rappresenta il momento più alto di chi si accosta al sodalizio. Dando così un significato ancora più forte alla formula che il Duca pronuncia quando mette il collare per l’ ’investitura al Nobile del Ducato dei Vini Friulani e dice:
“…cun onôr e cun plasê vuê tu ses nobil dai vins furlans”,
 
dove quell’“onore” conferito al Nobile all’atto del suo ingresso nel Ducato si attribuisce una dignità morale e nel contempo un prestigio sociale riconosciuto per la funzione che sarà così chiamato a svolgere.
Ed è questo il lascito di Piero, lucido cronista, istrione, stimolatore di riflessioni su temi di attualità, promotore di eccellenze enogastronomiche friulane e della cultura del bere educato e morigerato che lui ha voluto consegnare a coloro che lo ricorderanno per quel “nobile” animo che ne faceva una persona speciale.

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