Storia e leggenda si fondono nella meravigliosa avventura della vite e della cucina in Friuli, conferendo fascino e nobiltà alla regione, ai suoi vini e ai suoi prodotti.
Una significativa espansione dei vigneti avvenne a partire dal 181 a.C. con la fondazione romana di Aquileia, come ci narra Tito Livio negli Annales. In seguito Aquileia (dichiarata dall’Unesco, nel 1998, patrimonio mondiale), divenne un centro strategico-militare, civile ed emporiale così importante da meritarsi il soprannome di “Roma secunda”. Fra i suoi commerci spiccava quello del vino. Secondo lo storico romano Plinio il Vecchio, l’imperatrice Livia, moglie di Augusto, sarebbe stata debitrice dei suoi 82 anni al Pucino, un vino prodotto in questa regione che alcuni studiosi tendono a identificare con il Prosecco, altri con il Terrano e il Refosco (racimulus fuscus).
Ai Romani si deve la realizzazione in Friuli di altri importanti insediamenti, come ad esempio Zuglio (Julium Carnicum) e Cividale (Forum Julii). Cividale divenne in seguito la sede del primo ducato longobardo (569 d.C.). I nuovi conquistatori non tardarono ad apprezzare, fra le altre cose, il vino locale. Viti, grappoli e pampini sono tutt’ora ben visibili nei loro splendidi siti archeologici. All’inizio del secondo millennio, l’abbazia benedettina di Rosazzo, che sorge a pochi chilometri da Cividale, divenne un importante centro per la produzione vitivinicola e agraria. E nel secolo successivo il Friuli fu un importante fornitore di vino per la Serenissima Repubblica di Venezia, alla quale si deve la costruzione della splendida fortezza stellata di Palmanova e più tardi della dogaresca Villa Manin di Passariano , simbolo e sede del Ducato dei vini friulani.
Nel giugno del 1409 a Cividale fu organizzato un grande banchetto in onore di Papa Gregorio XII durante il quale fu servito il Refosco di Albana di Prepotto. Ai cardinali piacevano però anche altri vini friulani, come l’Ucelùt, lo Scjaglìn, il Forgiarìn o il Piculìt neri. In particolare l’Ucelùt fu acquistato in abbondanza per alleviare la clausura dei partecipanti al concilio di Trento che durò, con varie interruzioni, dal 1545 al 1563. A metà del 1700 i vini friulani erano ormai presenti sulle più nobili mense d’Europa. Fra essi cominciò a brillare una nuova gemma, il Picolit, che in breve divenne il vino prediletto di nobili e sovrani, di papi e cardinali. Estimatore entusiasta di questo prezioso e grandissimo “vino da meditazione” fu anche il commediografo Carlo Goldoni.
Oggi in Friuli e sul Carso vengono prodotti oltre una trentina di vini DOC e DOCG bianchi e rossi di monovitigno, uvaggi e spumanti, ai quali vanno aggiunti oltre una decina di vini di grande interesse non nominati nei disciplinari delle DOC. Ma il Friuli non vanta solo il vino fra i prodotti che danno nobiltà alle mense. Ha anche un’ottima gastronomia. A tal proposito vanno ricordati due nomi su tutti: quello del Maestro Martino, cuoco del patriarca di Aquileia dal 1450 al 1465 e autore del Libro de Arte Coquinaria, e quello di Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, autore nel 1474 del“De onesta voluptate et valetudine”. Al Maestro Martino va ascritto, fra i molti meriti, anche quello della ricetta di uno dei piatti ancora oggi più noti della cucina friulana, vale a dire i “cjarsòns” (i caliscioni), una sorta di ravioloni riempiti con un impasto dolce. Oggi, però, non c’è amante della buona tavola che non conosca e apprezzi numerose altre prelibatezze culinarie di questa terra: il prosciutto di San Daniele, prosciutto e speck di Sauris, la Pitina, il formaggio Montasio, il formaggio Asìno e quello “frant”, l’olio Tergeste, la trotasalmonata, il “musetto” con “brovada” e polenta. E l’elenco potrebbe continuare per molto.